Fenomenologia del bevitore, si potrebbe definire questo nuovo libro di Enrico Vaime. Ricordi, episodi, riflessioni all’insegna del vino. Il repertorio del grande autore c’è tutto. Sketch comici di purezza assoluta: «Apertura della bottiglia resa spettacolare da gesti più da ginecologo che da oste. Prova dell’odorato. (…) Fui colto da una curiosità per me nuova: me ne uscii con un confidenziale “Beh?” che sciolse per quel giudice scrupoloso, ogni riserva. L’eroico sommelier emise il suo stupefacente giudizio, sebbene a mezza voce “È una merda”, disse». Momenti lirici: «Forse andrebbe smentita da tecnici ed esperti, la diceria che vuole che esistano persone che bevono per dimenticare . Io penso che al contrario si beva soprattutto per ricordare». Divagazioni storiche: come nella descrizione della differenza antropologica fra i potenti che decidono i destini degli uomini davanti a un bicchiere di vino e quelli che lo fanno davanti a un boccale di birra. «Hitler (astemio) si finse bevitore di Pilsen per rappattumare degli irrequieti agitatori politici. Era astemio». Memorie personali e allo stesso tempo storiche, di un’Italia che non c’è più, come quei brindisi di una volta nei dolci borghi collinari sulle rive del Trasimeno: «E partiva il brindisi: “Piyate na ciuetta/sbattetela n’tol cerquone…” e qui l’assonanza e la tradizione concludevano rispettando se non altro la rima: “… alla salute de sto gran cojone”». Il messaggio finale, il motto, sembra essere: bere il vino consapevolmente, e non farsi bere dal vino. Rifiutare cortesemente le mode e le pose. Lasciar prevalere, ancora una volta, la filosofia vaimiana del non prendersi troppo sul serio: nel vino come nella vita.