Ogni suo nuovo libro di versi, insinua Borges nel Prologo con incantevole autoironia, e` un appuntamento con temi che il «rassegnato lettore» prevede: specchi, spade, il tempo che e` «la varia / trama di sogni avidi che siamo», il labirinto senza fine che ci serra, Buenos Aires che e` la «milonga fischiettata che non riconosciamo e ci emoziona». E ancora il dialogo con gli autori in cui Borges si rispecchia – Ricardo Gu¨iraldes, il «fratello della notte» De Quincey, il persiano che concepi` le Rubaiyat, Hilario Ascasubi – o che, come Joyce, lo hanno riscattato con il loro ostinato rigore: le «segrete leggi eterne», del resto, dove altro sono se non nei libri? Nei libri letti, certo, perche´ la lettura e` arte piu` raffinata della scrittura («Altri si vantino delle pagine che han scritto; / io vado fiero di quelle che ho letto»), ma anche nei libri semplicemente catalogati, perche´ ordinare una biblioteca «e` esercitare, / umilmente e in silenzio, / l'arte della critica». Sono temi che il «rassegnato lettore» ritrovera` qui, in realta`, con la intatta, particolare gioia «delle vecchie cose amate», scoprendo oltretutto che due nuovi, essenziali, se ne aggiungono (basti pensare a "Una preghiera" e a "Elogio dell'ombra"): l'etica, che non aveva mai smesso di appassionare l'amato Stevenson, e che al dottor Johnson aveva fatto dire: «La prudenza e la giustizia sono prerogative e virtu` di ogni epoca e luogo; siamo eternamente moralisti e solo a volte geometri». E la vecchiaia, che e` «dolcezza», quieta attesa della morte e di una luminosa rivelazione: «Presto sapro` chi sono».