Se sul finire del 1942 tutto lasciava presagire la sconfitta degli Alleati, nell’arco di pochi giorni lo scenario cambiò. Il punto di svolta di uno dei con itti più drammatici della storia viene raccontato da Peter Englund attraverso lettere, resoconti militari, poesie e frammenti di diario di personaggi anonimi e noti – da un’impiegata belga al comandante di un cacciatorpediniere giapponese al largo di Guadalcanal, da Albert Camus a una casalinga inglese, da Vasilij Grossman a un macchinista su un convoglio di navi nel Mar Glaciale Artico, dallo scrittore tedesco Ernst Jünger a Leona Woods, la sica che lavorò con Enrico Fermi al Progetto Manhattan. Nel caldo afoso del deserto nordafricano, nel fango di una trincea sul fronte orientale, in un lussuoso appartamento berlinese o in un sordido bordello di Mandalay, soldati e civili, uomini e donne di tutto il mondo hanno conosciuto la lotta tra brutalità e compassione, lo spietato scontro fra barbarie e civiltà, lo scarto tra gli scopi grandiosi della guerra e una realtà tragica e sanguinaria. Una testimonianza letteraria toccante e rigorosa, un magistrale affresco costituito da trentanove ritratti che riporta alla luce un «materiale di solito invisibile, relegato in una noticina in calce», e dà voce a sentimenti, ossessioni, paure, superstizioni, piccole gioie quotidiane, illusioni e speranze, sogni e aspirazioni dell’umanità nella sua ora più buia. «Nella convinzione che la complessità degli eventi emerge al meglio proprio a livello individuale».