Il 13 aprile del 1963 segna il punto di non ritorno nella svendita dell’Italia a costruttori e palazzinari: quel giorno «Il Popolo», quotidiano ufficiale della Dc, scrive che nello schema di nuova legge urbanistica presentato dal ministro dei Lavori pubblici Fiorentino Sullo (basato sull’esproprio delle aree edificabili) non era «in alcun modo impegnata la responsabilità della Democrazia cristiana». Svanì così ¬¬– con la netta stroncatura da parte dello stesso partito di Sullo – la possibilità di sottrarre le nostre città alla violenza della speculazione fondiaria che aveva avuto il via libera alla fine della Seconda Guerra Mondiale. A dare carattere definitivo alla sconfitta contribuì il tentativo di colpo di Stato dell’estate del 1964 (il cosiddetto Piano Solo) ordito dalla Presidenza della Repubblica e da ambienti politici e padronali atterriti dalla proposta di riforma urbanistica. Decenni di storia e cronache dei «signori» del cemento armato, di paesaggi devastati, alluvioni, terremoti e tanta incompetenza. Da Milano ad Agrigento, da Napoli a Roma, da Venezia all’Aquila, da Taranto a Sesto San Giovanni. Anche se non sono mancati politici, amministratori e tecnici che hanno dato luce a speranze di cambiamento. Ma il declino inesorabile, secondo De Lucia, è cominciato dopo gli anni Ottanta con l’affermazione del pensiero unico neoliberista che ha quasi del tutto azzerato l’urbanistica. E poi il berlusconismo, quello delle grandi opere inutili e dannose e dei «padroni in casa propria»: la proprietà avanti a tutto, la proprietà purchessia, quella dei grandi immobiliari e quella miserabile degli abusivi. Un libro duro, una nitida fotografia di un’Italia svenduta al partito del cemento ma che consegna anche una proposta politica per arrestare il degrado.